IL TERRITORIO: TERRA DI BARI

L'importanza dell'olivo e dell'olio è testimoniata da diversi fattori:

  • Antiche leggende, citazioni, emblemi e simboli legati all'olivo (ad es. l'albero di olivo e il motto, attribuito all'imperatore Federico II, riportati nello stemma araldico: "Ad pacem promptum designat oliva botontum" ovvero "L'olivo designa Bitonto a proporre la pace").
  • Alta percentuale dell'agro investita ad olivi. Quasi il 33% dei terreni di Bitonto con soli oliveti specializzati nel 1815; la superfice crescerà ancora per l'impianto di oliveti sulle terre incolte (9.270 ettari nel 1827 e soprattutto dopo la distruzione dei vigneti con la fillossera all'inizio del 1900).
  • Altissima percentuale della popolazione impiegata in agricoltura (87% nel 1832) e in particolare nell'olivicoltura. La superficie aziendale media è di appena 2,3 vigne nel 1815.
  • Mancanza di autosufficienza alimentare (cereali, legumi, etc) perché l'olivicoltura è molto specializzata.
  • Un incredibile numero di frantoi urbani e rurali. Nel 1815 sono censiti 70 frantoi (Catasto Murattiano) che cresceranno in pochi anni fino a 200; nel 1864 su 176 opifici (frantoi e cantine) della Terra di Bari, ben 119 (67%) sono frantoi di Bitonto. Con l'innovazione tecnologica aumenta la capacità lavorativa oraria e conseguentemente diminuisce il numero dei frantoi (ancora oggi comunque oltre 20 a Bitonto).
  • • In periodi diversi (dal tempo dei romani, al medioevo fino secoli a noi più vicini, ‘800 e ‘900) la qualità e l'abbondanza dell'olio attirano a Bitonto commercianti forestieri e stranieri (veneziani, napoletani, piemontesi, liguri, francesi, inglesi, etc).
  • L'esistenza di un sito specifico (Lama di Macina) ove si cavava la dura pietra nera di Bitonto per la produzione delle macine o molazze dei frantoi.
  • Una importante varietà che riporta il nome della città.
Nella Terra di Bari molte grandi cittadine fondano la loro economia sull'olivo ma certamente Bitonto le rappresenta tutte in modo emblematico poiché è il centro ove l'olivicoltura è più specializzata e la pianta dell'olivo e l'olio "fine" ad uso alimentare rappresenta un volano economico quasi esclusivo e quindi un vero e proprio culto.



DOP

La Cima di Bitonto

Da tempi remoti una varietà particolarmente fertile e pregiata (con olio tendenzialmente dolce e con sentori di mandorla) si afferma a Bitonto e nei comuni limitrofi. È l'Ogliarola barese o Nostrale. I contadini la potano tutti gli anni assecondando il tipico portamento ricadente (procumbente) dei rami per favorirne la fertilità. Diviene tanto importante nel territorio, da essere chiamata, come sinonimo, Cima di Bitonto (l'olio di Cima era quello di migliore qualità ottenuto da olive raccolte a mano dalla pianta, per distinguerlo da quello di cascola da olive raccattate a mano dal suolo). Successivamente Bitonto è diventata una delle tre sottozone della DOP Terra di Bari, la più grande DOP europea per superficie coltivata.

La Coratina

La cultivar Coratina, varietà tipica perlopiù nei comuni più a settentrione della provincia di Bari, in areali come Andria e Corato, ha rese molto alte ed è soprattutto un’oliva più facile da raccogliere, per via della grande dimensione dei frutti, ragione per la quale già nell'800 si diffonde anche a Bitonto. La pianta è completamente diversa rispetto alla Cima di Bitonto. Ha infatti portamento assurgente, ed è soprattutto la varietà, forse unica al mondo, ad avere il più alto contenuto in polifenoli, ovvero produce oli molto fruttati e piccanti (soprattutto se non completamente matura) che mantengono inalterate le loro caratteristiche per tempi lunghissimi (oltre due anni grazie alla naturale capacità di resistere alle ossidazioni). Molti oliveti di Cima di Bitonto sono reinnestati nel tempo e il mix delle due varietà (frante insieme o con tagli successivi alla molitura) rendono l'olio di Bitonto ancora più apprezzato sia dal punto di vista organolettico che tecnologico, per la sua lunga vita in termini di shelf-life.
 

I Frantoi di
Bitonto

Altra caratteristica di Bitonto è l'apertura anticipata dei frantoi che avviene, in concomitanza della festa dei Santi Medici Cosma e Damiano ad ottobre, circa venti giorni prima di tutti gli altri comuni pugliesi.

Questi oli così "profumati e saporiti" sono la base degli oli novelli.
Non a caso, importanti marchi oleari, soprattutto toscani, alla fine dell'800 avevano proprio a Bitonto degli stabilimenti oleari di proprietà.

"Risorgimento" dell'olio e Risorgimento italiano

Pochi sanno che in Puglia, e in particolare a Bitonto, il cognome Garibaldi sia noto non solo per il celebre Giuseppe, eroe dei due Mondi e del Risorgimento nazionale, ma anche per il fratello minore Felice, figura di primo piano per un altro "risorgimento", quello dell'olio di oliva in Terra di Bari. Felice arriva a Bari da Nizza nel 1835 ove in poco tempo diventerà una figura chiave nella produzione e nel commercio oleario tra il capoluogo pugliese e Bitonto. La sua storia si intersecò con la fervida borghesia pugliese di metà Ottocento e si legò a doppio filo con l'intraprendenza di questo angolo del regno borbonico che ebbe la fortuna di restare lontano dai grandi tumulti del nazionalismo ottocentesco. Gli imprenditori commercianti forestieri e pugliesi costruirono dei veri imperi economici in una terra vocata nella produzione olearia, realizzando, all'ombra degli olivi, le fondamenta dell'economia dell'Italia meridionale. La Puglia che ospitò Felice Garibaldi era una terra che traeva nutrimento dall'olivo senza saperne sfruttare al meglio le potenzialità economiche. A sconvolgere un sistema di raccolta millenario, che prevedeva la maturazione delle olive e la raccolta da terra delle drupe - con notevole perdita delle qualità organolettiche- fu un altro intraprendente francese Pierre Ravanas che nel 1826 era giunto a Bari e aveva ottenuto la possibilità di realizzare un frantoio con le nuove tecniche di produzione. Nel 1828 nei pressi di Bitonto, Ravanas utilizzò per la prima volta l'antico frantoio nei pressi del Torrione angioino e dopo pochi anni ben 120 frantoi lavoravano l'olio alla "francese", dotati cioè del torchio idraulico e di due mole. Nell'estremo Sud dell'Italia la rivoluzione francese aveva deposto il suo seme di novità tecnologica.

Felice Garibaldi

Felice Garibaldi, cui la natura regalò peraltro un fisico molto simile a quello del celebre fratello, non era immune da queste novità produttive. Il suo datore di lavoro, il nizzardo Federico Avigdor, volendo espandere i propri affari commerciali, scelse Felice per intraprendere un viaggio in Puglia. I due, dopo aver accuratamente studiato le nuove tecniche di spremitura di Ravanas, decisero di applicare le nuove convinzioni nella produzione olearia. Avevano infatti intuito quanto potesse conveniente selezionare gli alberi secondo le diverse varietà e raccogliere i frutti separatamente, senza mischiare le varie qualità e, soprattutto, compresero quanto fosse importante raccogliere le drupe direttamente sull'albero. Convinti di poter produrre un prodotto migliore, Felice Garibaldi e Federico Avigdor, legandosi ad una importante famiglia di frantoiani di Bitonto, concretizzarono le loro teorie; il grande intuito, il clima e la generosa natura dei terreni pugliesi diedero loro ragione. Negli anni dei tragici fatti della Repubblica romana e della fuga di Giuseppe Garibaldi in America, Felice investì tutte le sue energie per trasformarsi in un imprenditore oleario; il penultimo dei fratelli Garibaldi visse i suoi anni lontano dai fermenti rivoluzionari ma, a causa della prematura scomparsa, proprio la sua ricca eredità prodotta con l'olio barese salvò il fratello Giuseppe dai debiti. Uomo educato, molto amato, colto e rispettoso del prossimo, Felice esportò l'olio pugliese in tutta Europa e la sua attività contribuì alla floridezza economica delle terre baresi. Dopo aver acquistato un negozio a Bari e dopo aver ottenuto importanti premi per la qualità delle sue olive, nel 1851, minato dalla malattia, Felice si trasferì prima a Napoli quindi a Nizza per morire tra le braccia del fratello Giuseppe. Gli ultimi istanti della sua vita saranno segnati dalla riappacificazione con il grande eroe e proprio il lascito dell'imprenditore oleario consentì a Giuseppe di acquistare metà dell'isola di Caprera. Informazioni, queste, davvero curiose, tratte dal libro "L'impresa di Felice Garibaldi, fratello dell'eroe dei due mondi", di cui è autore Riccardo Riccardi per Congedo editore.